28 febbraio 2007

(241)

Mi piace un volto d'agonia
Perché so ch'è sincero.
L'uomo non può contraffare lo spasimo
Né simulare il rantolo.

Gli occhi si fanno vitrei ed è la morte.
Impossibile fingere
Le perle di sudore sulla fronte
Infilate dalla sommessa angoscia.


(Emily Dickinson, c. 1861)

15 febbraio 2007

Il dito sulla bocca


Il bambino biondo ha la bocca semiaperta, un’espressione sbalordita e sciocca. La mano degli uomini gli scivola improvvisamente tra le mani, allora si volta e comincia a camminare rapido e incerto verso il silenzio. Si guarda attorno, atterrito dalla paura. Nei suoi occhi improvvisamente anziani e saggi, scorre l’illimitato. E’ solo, adesso. Sente una voce; vede un volto, forse; il vento gli accarezza le gote pallide. Sta lentamente abbandonando il suo istinto animale, e prende corpo in lui la necessità di nascondersi, o di urlare; ma la prima è più forte e decisa, e si manifesta con il crudele aspetto della razionalità. Segue il pianto, ultima àncora di salvezza dell’istinto oramai in estinzione. Comincia a ricordarsi della vita che fu, e la svolge; come i cerchi nell’acqua quando si tira un sasso, secondo un fato stabilito, un ritmo incessante, limitato. Da ora in poi cercherà di capire guardando le stelle, ascoltando il canto degli uccelli, toccando il viso di una donna, respirando l’odore dei tulipani e della terra stessa, raccontando delle storie. E scoprirà che c’è sempre un angelo, nascosto da qualche parte, pronto a tendergli nuovamente la mano.

10 febbraio 2007

NON UCCIDERE


La legge non dovrebbe imitare la natura. Dovrebbe correggerla. La legge è stata creata dagli uomini per regolare i rapporti sociali. Ciò che noi siamo e come viviamo dipende dalle leggi; che noi osserviamo o infrangiamo. Fino a quando la sua libertà non lede quella di un altro uomo… La pena, la pena è una forma di vendetta, specialmente se mira ad arrecare il male, e non a prevenire il delitto. Ma in nome di chi si vendica la legge? Veramente lo fa in nome degli innocenti? E sono i veri innocenti che fanno la legge?


Fin dai tempi di Caino mai una punizione che sia riuscita a migliorare il mondo o scoraggiarlo dal compiere delitti.

tratto dal film Decalogo, cinque di Krzysztof Kieslowski

21 gennaio 2007

Le sue mani


Lente, rapidamente nascoste
nella borsa a rovistare cose;
movenze familiari, già viste.
Scivolosamente affusolate
dentro lente danze amorose
a raccontare storie incantate.

14 gennaio 2007

Alexander Throckmorton

Da giovane le mie ali erano forti e instancabili
ma non conoscevo le montagne.
Da vecchio conoscevo le montagne,
ma le mie ali stanche non potevano seguire la visione -
Il genio è saggezza e gioventù.


(tratto da Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters)

13 gennaio 2007

E' colpa dell'amministratore!

Lei, accasciata davanti alla porta di casa,
la gatta chiusa dentro, i sacchi della spesa
appoggiati sui gradini, accanto all'ascensore
che a vederla pareva avesse un malore
ansimava stanca, con la bocca che cadeva
esausta tendeva il dito, la schiena le doleva.
Voleva raggiungere il campanello - presto! -
prima che fosse tardi, compiere quel gesto
per avvertire qualcuno, magari farsi aiutare
a tornare indietro dove lei non voleva tornare.
- Driiin! - aveva suonato. Ce l'aveva fatta,
e per la paura di esser presa per matta
urlò a squarciagola il nome del vicino - Aldo! -
e fu presa da malore; improvvisamente caldo,
poi freddo, poi caldo ancora e svenimento:
come morta, cadde di piombo sul pavimento.
La porta del vicino si aprì: "Oh santo cielo!
Presto, è svenuta, forse è viva per un pelo!"
Tutti dai piani bassi accorsero allarmati
"Fatela respirare, su, non state accalcati!"
Le fecero poggiare la testa, le gambe in su
fino al decimo piano era salita una tribù
di anziani, casalinghe, bambini col pallone
persino i più pigri spegnevano la televisione
per cercare di capire cosa fosse successo
Il portiere: "Non si sa niente per adesso..."
Un po' di acqua e zucchero e presto rinvenne
contenta per non averci lasciato le penne:
"Avevo lasciato un sacchetto al pianterreno
ma me ne sono accorta all'ultimo gradino!"
"Non si preoccupi - faceva Aldo - ora sta bene
può anche tornare giù, se proprio ci tiene...
"E no, ora basta! - strillò il portiere iracondo -
pur'io faccio su e giù e sembro un moribondo.
Ma invece di chiamare ogni volta un dottore
non potreste solamente riparare l'ascensore?!"

12 gennaio 2007

Invito al Viaggio

T'invito al viaggio,
in quel paese che ti somiglia tanto,
i soli languidi dei tuoi cieli annebbiati
hanno per me l'incanto dei tuoi occhi
quando brillano, offuscati.
Laggiù tutto è ordine e bellezza,
calma e voluttà.
Il sole si addormenta
in una calda luce di giacinto e dorme.
Dormono pigramente i vascelli vagabondi
arrivati da ogni confine
per soddisfare i tuoi desideri,
i tuoi desideri.

















Poesia di Manlio Sgalambro, Invito al viaggio di René Magritte

10 gennaio 2007

Riflessione #1


Ogni secondo, giorno e notte, una donna mette al mondo un bambino.

Non credete che sarebbe ora di trovare quella donna e farla smettere?



Anonimo

31 dicembre 2006

Avrei voglia di idee diverse


Spazi, quadrati, quadranti,
sullo schermo qui davanti
troppe parole senza voce,
stella fioca, poca luce.


Cosa sto raccontando?
A chi perché e quando
ho pensato di narrare,
se non riesco a decifrare?


Io non parlo, non sento
sparo alle ombre, forse;
parlo troppo, me ne pento.


Non vedo le mie risorse,
galleggiare mi fa spavento.
Avrei voglia di idee diverse.



27 dicembre 2006

A volte vorrei



A volte vorrei
l'occhio del gatto nero
che non promette grazia
a un sinistro pensiero.
Uno sguardo
semplice ma severo.


(Tratto da Quadri senza figure, raccolta di poesie di Loredana Scaramella, Serarcangeli Editore)

25 dicembre 2006

Prima dell'antivigilia

Cancelli già chiusi: ore 21, la "favolosa" metro di Roma Caput Mundi, a Natale, ultimo venerdì di shopping è chiusa in anticipo per restauro. Era già successo in piena "Estate Romana", ad agosto.
Un fogliettino, attaccato alla cancellata di Piazza della Repubblica, stampato piccino, dice che il servizio è sostituito da autobus.
Cercare la fermata nei dintorni: nei dintorni decine di taxi vuoti in attesa. E non è un miraggio!
Ma ecco il MA2 con posti a sedere.
Dal finestrino scorre una Roma bellissima: sembra che un virus spaziale abbia spazzato via le catene di auto parcheggiate su file multiple o incolonnate ai semafori. Pochi pedoni, avvolti da foglie e cartacce fluttuanti nella prima vera tramontana di stagione. E mille luci natalizie che sottolineano forme altrimenti poco visibili di facciate liberty o rinascimentali, di svettanti palmizi o ippocastani.
A via Veneto luci dorate, oppure blu, o anche rosso fuoco: dalle vetrate di bar e ristoranti qualche raro avventore.
Dal tridente di una Piazza del Popolo così deserta, e sono le 21,30, da sembrare una stampa vivente dell'Ottocento, si intravede su via del Babbuino la più grande luminaria color verde acceso. Ma non è un albero di Natale. Si tratta di un' insegna permanente che indica da cielo a terra un messaggio per tutti gli uomini di buona volontà: PIZZERIA.
Già alle 19 via Nazionale era vuota. I Romani affannati, impacchettati, maledicenti, aggressivi, disperati, depressi, sgambettanti su marciapiedi ingombri di quattroruote, sculettanti su motorini puzzolenti, immobilizzati nelle code infinite (sia quelle degli uffici postali, sia quelle degli ingorghi), dove sono andati?
E i turisti? Ore 17,30 alle Scuderie del Quirinale: una mostra per quattro gatti. Più i custodi, tanti, sorridenti, in giacca rosso-natalizio.
E i pendolari dello shopping? Tutti indietro presto, nei comuni di provenienza. I negozi sono vuoti, le vetrine parlano invitanti a passanti che non esistono.
Piazzale Flaminio: davanti alla stazione del trenino, scomparse le bancarelle restano i detriti. Carte, cartoni, plastiche, materie prime poche, molti derivati di vario genere, meglio non approfondire.
La corsa delle 22, cancellata. Aspettare quella delle 22,30.
Tanto ora nessuno corre più, c'è tempo e non c'è nulla da fare.
Si aggira solitario un giovane: jeans sdruciti e un po' calati, come si usa ora, e zainetto in spalla. Tiene in mano un quadro, non avvolto, di media grandezza, poco pesante comunque. E parla, parla ininterrottamente, a voce alta, parla al vuoto che ha intorno, parla a se stesso e forse neppure. Frasi sconnesse: "E questa sarebbe arte! La chiamano arte!..." Agita il quadro al vento e al buio.
Poi entra nella stazioncina. Siede su una panca. Tira fuori un libro. Che non legge.
A un tratto si sente il rumore del quadro che cade a terra: interviene un addetto ferroviario. Volano parolacce da entrambi.
Il giovane alza la voce: "Ma lo sai questo quadro quanto vale? Me lo hai rotto. Dimmi il tuo nome, voglio sapere come ti chiami. Hai anche la divisa, a parte la tua divisa, dimmi il nome e cognome."
La risposta è in crescendo: "Non sono tenuto a dare il mio nome a nessuno. Ho diritto alla privacy, e poi smettila che mi stai a rompe er culo!"
No, non vengono alle mani. Il giovane comincia ad andare in su e giù, sul marciapiedi, tra i 2 binari, lamentandosi e invocando Gesù: "E' Natale, è nato il Bambino, ma che Natale è questo? Che è Natale, questo? Voi l'avete ucciso, siete stati voi."
Si risiede sulla panca, tranquillo. Tira fuori un libro dallo zaino.
Man mano arrivano delle persone, una decina in tutto. Aspettano anche loro il treno delle 22,30.
Il giovane si porta al centro dell'androne e si accoccola per terra. "Ecco ora comincio a leggere. La Bibbia, i due Testamenti, o forse è la Cabala? Mah, qui ci vorrebbe Zoroastro. Ecco chi ci vorrebbe. Lo conoscete? Fa' lo stesso, la Bibbia o la Cabala. E no, questo libro lo devo leggere a voce alta..."
Ma arriva il treno.
Sale e scende con il suo quadro, due o tre vetture. Poi sceglie il sedile di fronte.
Il treno parte, la luce illumina finalmente il suo viso.
Un bel giovane, dalla fronte alta e spaziosa, due occhi scuri intensi, vivaci. Magro di costituzione, ma ben nutrito e ben curato. Un viso simpatico, intelligente.
Un sospetto: che sia un burlone? Ci ha preso tutti in giro fino adesso? Un simpatico scherzo di Natale, in anticipo sul Carnevale?
Il quadro ha una cornice a rilievo di cartapesta, color rosso vivo. Si tratta di un collage: si intravede dipinto un ometto grasso, seminudo e panciuto, con un mantello, sospeso quasi in aria. In basso un ritaglio, sembra una maschera. Poi una lattina di coca cola schiacciata e incollata.
"Ora tiro fuori il mio libro, quello che sto scrivendo. Ora ve lo leggo." A chi si rivolge? Non guarda nessuno. Gira il quadro. Sul retro una firma, nome e cognome. Il nome è Omar.
Il "suo" libro è un quadernone scritto a penna. Non legge, ma riprende a parlare.
"Mi chiamo Omar, ho 26 anni. Ho il diritto alla mia età di andare a divertirmi. Ecco ora vado a divertirmi. Ne ho il diritto a 26 anni. Perché mi ha rotto il quadro? Ma lo sa quanto vale questo quadro? E non ha voluto dirmi il nome."
Non si tratta di una burla natalizia. Si tratta di un ventiseienne, intelligente, colto?
Ora legge il suo libro: "Perché gli Ebrei non riconoscono Gesù neppure come profeta, e gli Islamici sì? A voi vi si deve rode er culo, a voi che l'avete ammazzato. Portava la croce, ma la croce non pesava, era pesante perché Gesù si è sacrificato non solo per tutti gli uomini, ma anche per le piante e gli animali. Per questo pesava la croce..."
Scendo, sono arrivata.
Omar prosegue il suo viaggio. Il suo quadro non era pesante, cartapesta e compensato.
O invece era pesante?
Ventisei anni: antisemita? cattolico? pro-islam? di destra, di sinistra, anarchico, artista, lucida pazzìa?
Scambiando le lettere del nome Omar diventa Roma, la culla della Cristianità.
Ma di chi è questo Natale?
Roma 22 dicembre 2006



racconto di Erica Ghini

19 dicembre 2006

Merlino


Il ritorno a Demezia

Merlino era solo. Finalmente. Lanciò un grido, che si perse lungo il sentiero. Poi, spada in pugno, si lanciò in una corsa senza meta. Saettò tra i rami, s'affannò a risalire i poggi. Cadde, si rialzò, la spada sempre in pugno. Amado, il suo cavallo, lo seguiva a piccolo trotto, disorientato da quel suo andare zigzagante, affannato. Quando lui si fermò a riprendere fiato, lo raggiunse e gli nitrì sul collo un richiamo breve. Merlino non aveva orecchie, né occhi, né cuore. Allontanò il cavallo e s'arrampicò velocemente su una roccia. Restò lì, in piedi. Gli occhi chiusi, portò al petto la spada, con delicatezza, quasi avesse tra le braccia un cristallo. La strinse, mormorando il nome di Deer, suo nonno. E pianse. Finalmente, lasciò che l'emozione e il dolore per la morte di Deer trovassero sfogo.
Un nitrito ancora. Il suo cavallo lo aspettava ai piedi della roccia. Merlino scese agilmente e lo cavalcò a pelo. Diede di sprone e si inoltrò là dove era più fitta la foresta e frequenti i coni d'ombra. Voleva nascondersi, sparire, sciogliersi dentro il bosco, confondersi con la terra e i rami. E restare zitto per il tempo che avrebbe preteso il suo dolore a ricomporsi.
"Merlino"
Qualcuno chiamava il suo nome. Lontano. Non avrebbe voluto rispondere ad alcun richiamo ma quella era la voce, la sola voce, a cui sapeva di poter affidare il suo dolore.
Enid lo attendeva. Con il suo aiuto, Merlino avrebbe affrontato quel giorno e il suo popolo secondo la dignità e la responsabilità che gli toccavano. Da Re.
"Non ne avrò la forza" aveva mormorato lui.
Solo lo sguardo sereno di Enid sembrava averlo confortato. Almeno per un po'.


(da La magia di Stonehenge, romanzo di Luisa Mattia, edizioni e/o)

04 dicembre 2006

after the funeral



CLAIRE: Some people keep smoking you know because they just need the nicotine. I never did. It just wasn't that hard to give up. People say it's so hard. Or they smoke because it's like a social club at work, passing that lighter. Or they can't calm down. I just couldn't stop carrying around cigarettes. That's my habit. I needed them there in my bag. I have to know where my lighter is.
MICHAEL: But you quit when you met me.
CLAIRE: They always say you never quit.
MICHAEL: It doesn't matter.
CLAIRE: You just take breaks. You can take the longest breaks but then one day you just need to smoke.
MICHAEL: I love you, Claire. Can you hear me? I said, I love you.


Words from After the funeral by Christopher Sean Larsen

12 novembre 2006

28



Come posso ritrovare la mia pace
se il ristoro del sonno mi è negato?
Se l'affanno del giorno non riposa nella notte
ma giorno da notte è oppresso e notte da giorno?

Ed entrambi, anche se l'un l'altro ostili,
d'accordo si dan mano solo per torturarmi
l'uno con la fatica, l'altra con l'angoscia
di esser da te lontano, sempre più lontano.

Io dico al giorno, per compiacerlo, che sei luce
e gli dai grazia quando le nubi oscurano il cielo;
così lusingo la notte cupa,
che quando le stelle splendenti non fanno capolino,
sei tu a illuminare la sera.

Ma il giorno ogni giorno prolunga la mia pena,
e la notte ogni notte aumenta il mio dolore.

William Shakespeare, Sonetti

31 ottobre 2006

Exhibition n.1

Puoi nasconderti se vuoi puoi truccarti gli occhi puoi restare chiuso in casa attivare i contatti puoi ascoltare in silenzio per ore puoi urlare fino a star male e puoi chiederci perdono senza mai dimenticare che non puoi fingere non puoi più fingere perché non puoi più fingere non puoi più fingere perché non hai più tempo non hai più tempo



(A. Salvati, E42, da The Album Part 1)

26 ottobre 2006

27



Sfinito dalla fatica, mi affretto al mio letto,

il caro riposo per le membra stanche del viaggio,

ma allora un altro viaggio mi comincia nella testa,

e lavora la mia mente, quando è finito il lavoro del corpo.

Allora i miei pensieri, di là lontano dove mi trovo,

verso di te fanno un devoto pellegrinaggio,

e tengono spalancate le mie palpebre pesanti,

a guardare la tenebra che vedono i ciechi.

Senonché la vista immaginaria della mia anima

presenta al mio sguardo cieco la tua ombra,

che, come un gioiello appeso alla notte spettrale,

fa la nera notte bella e il suo vecchio volto nuovo.

Così di giorno le mie membra, di notte la mia mente,

per causa tua, e mia, non trovano quiete.

William Shakespeare, Sonetti

19 ottobre 2006

Ho voglia di fare a botte con qualcuno



Ho voglia di fare a botte con qualcuno. Tanti cazzotti, un calcio piazzato ben bene tra i denti, che faccia zampillare fuori sangue a volontà. Il mio pugno destro che rimodella la guancia sinistra di uno di quei teppistelli del cazzo figli della merda televisiva che deturpa l’etere da vent’anni; “non sanno quello che fanno…” – me ne fotto, inizino ad impararlo! Il mio piede sinistro che toglie il respiro ad uno di quei giornalisti cronisti televisivi che non hanno mai fatto una domanda “scomoda” a un potente, e si sentono tanto super partes in qualsiasi situazione – hanno la coscienza sporca come un ladro o un assassino -, lo colpisco al basso ventre evidenziando così quello che non ha… Il mio cranio che si schianta come un lapillo sul naso di uno di quei politicanti di merda che trovano le loro sporche propagande e diatribe varie ed eventuali più importanti anche della vita stessa: il mantenimento del potere prima di tutto, costi quel che costi… purtroppo le catastrofi derivanti dalle “politiche sbagliate” non colpiscono mai loro. Uno sputo carico di muco e catarro in faccia a tutti quelli che si mettono la dignità sotto i piedi, e mercificano i propri o altrui drammi. Ho una terribile propensione alla violenza; con chi potrei sfogarla? I cacciatori, che nel 2006 hanno ancora il coraggio di uccidere un animale indifeso “per sport”; i pedofili e gli stupratori, disumani e intollerabili, valgono un qualsiasi carnefice; il presidente degli Stati Uniti e chi come lui pensa che quello statunitense sia un popolo superiore, schiavi di televisione, ignoranza e globalizzazione; i magnate del petrolio e tutti quelli che nel corso degli anni hanno impedito lo sviluppo e l’applicazione di forme energetiche alternative, uccidono più loro di una qualsiasi calamità naturale. Ho voglia di darle di sana pianta a qualcuno, di stenderlo a terra con una caterva di colpi, a mani nude, alla pari. Voglio uno scontro. Non un semplice sfogo, un percorso. L’istinto primordiale che si scatena per non farsi sopraffare dagli eventi. Solo un temporale può fermarmi.

01 ottobre 2006

Storie di ordinaria follia #2

PETR: Una sola volta ho provato a tenermi una donna, e non ci sono riuscito; ma non possiamo permettere che le donne ci portino alla follia. Papà, se volessi dirmi qualcosa, anche tu puoi farlo. Mamma, papà ti lascia per un'altra donna e l'unica cosa che ti tormenta è che non riesci a consigliarlo nella maniera giusta! Sei strana, mamma. La nostra famiglia ha perso senso perchè era fondata sui buoni consigli, anziché sull'amore. Una persona ha bisogno di un consiglio o d'amore. Però: può una persona che ti ama consigliarti male? Questo è il problema. Ha valore un buon consiglio di una persona che non ti ama? Questo è un altro problema. Non ci sono che problemi. In ogni caso, la cosa più importante è rimanere se stessi. Nessuno ha bisogno del tuo sangue né dei tuoi consigli! Papà ti lascia perché tu non gli vuoi bene: ne hai fatto un uomo solo ed ora giochi a fare la donna comprensiva che lo capisce. La gente normale deve compensarsi, voi invece è come se vi foste sempre sottratti. Vi ho voluto bene, ma separatamente. Tu pensi che sono pazzo. I ritagli di giornale non li ho buttati e basta. Non so il perché. Perché sono una spugna. Bevo perchè non ho la forza di buttarli; non ho una donna che mi aiuti a farlo! Non ho una madre che mi consigli dove farlo, quando farlo! Fino ad ora mi son tormentato per ogni cosa. Adesso voglio provare a prendere quello che mi succede intorno come ispirazione. Voglio provare a scrivere poesie. Ogni persona che incontrerò sarà una poesia diversa. Sono a un bivio. E allora? Vorrà dire che sono a un bivio. Chi non è a un bivio?

(tratto dall'opera teatrale Storie di ordinaria follia, di Petr Zelenka)

30 settembre 2006

Storie di ordinaria follia

JIRI: Un sacco di gente si convince di essere folle ma il loro segreto sta nel fatto di essere di una normalità totale. Se ti guardi intorno vedi un sacco di gente come pazza, ma nessuno che sia diventato folle sul serio. Sai cosa intendo dire. Non vedi nessuno correre per strada in mutande. Nessuno a cui siano davvero saltate le valvole di sicurezza. A cui abbia dato di volta il cervello alla cara vecchia maniera. E c'è anche un sacco di gente che vuole essere folle, perchè la follia significa libertà assoluta... Potrebbero cominciare a comportarsi in maniera sincera. Ma hanno sfiga, perchè questo stato non si manifesta. Il che è in sostanza anche il mio caso. Vorrei dare di matto e non dovere avere la responsabilità di quanto mi appresto a fare. Ma forse non sarà possibile. L'autentica follia è altrettanto rara della genialità o dell'orecchio assoluto. Compirò un atto folle, ma lo compirò in piena consapevolezza.

(tratto dall'opera teatrale Storie di ordinaria follia, di Petr Zelenka)

27 agosto 2006

Croazia estate 2006


















Eccoci là...

...Io, Dan, Pier, Tad, Pizza, Pizzi, Fabio & Francesca + Special guests: Flavia & Giorgio (che fa la foto!) e Pozzetto & l'"Amica sua"...

...comunque sia andata è stato un successo!