24 aprile 2007

Quattro calci al pallone

Mi bastano poche cose
in questi giorni di sole;
il sole, per l’appunto, un
vento leggero in faccia.
Fare una passeggiata,
scansare i pensieri che
mi fanno rigirare sul
cuscino, le notti storte.
Ascoltare le parole
che scivolano veloci
sull’asfalto, gli amici;
mi ricordo che bastano
un sorriso, a volte, e
quattro calci al pallone.

19 aprile 2007

Oggi ti ho rivisto

Oggi ti ho rivisto.
Volevi abbracciarmi?
Io, così comodo, là
di fronte a te sazio.
Speravo di parlare,
di emettere suoni.
Volevo abbracciarti.
Il tuo viso stanco
l’avrei osservato
per ore, senza pace.
Ho avuto coraggio
solo per uno sguardo.
Oggi ti ho rivisto;
forse ho rivisto me.

10 aprile 2007

Hai schivato la notte nera

Hai schivato la notte nera,
La noia che si fa sincera
E ti dice in faccia ogni cosa,
La più dolce, la più morbosa.
E non sa dove sei finito
E non lo sai neanche tu.
L’amore suo non è tradito,
In te risplende nuova virtù.

28 marzo 2007

Adoro forse è troppo

Adoro forse è troppo;
meglio la parola “bene”
per dire che le pene
d’amore sono sciroppo
che cura il mal di noia.
Mi culla la sua voce,
e nel cervello atroce
respira nuova gioia.

11 marzo 2007

La sabbia fra le dita

Facciamo molto per le persone che amiamo, apparentemente, ma quando ripensiamo al giorno appena trascorso, vediamo che sebbene si sia fatto tutto per loro, non ci è rimasta la forza o il tempo per stringerli fra le braccia e pronunciare una parola gentile e tenera. Le nostre vite scivolano via come la sabbia fra le dita.


Krzysztof Kieslowski

28 febbraio 2007

(241)

Mi piace un volto d'agonia
Perché so ch'è sincero.
L'uomo non può contraffare lo spasimo
Né simulare il rantolo.

Gli occhi si fanno vitrei ed è la morte.
Impossibile fingere
Le perle di sudore sulla fronte
Infilate dalla sommessa angoscia.


(Emily Dickinson, c. 1861)

15 febbraio 2007

Il dito sulla bocca


Il bambino biondo ha la bocca semiaperta, un’espressione sbalordita e sciocca. La mano degli uomini gli scivola improvvisamente tra le mani, allora si volta e comincia a camminare rapido e incerto verso il silenzio. Si guarda attorno, atterrito dalla paura. Nei suoi occhi improvvisamente anziani e saggi, scorre l’illimitato. E’ solo, adesso. Sente una voce; vede un volto, forse; il vento gli accarezza le gote pallide. Sta lentamente abbandonando il suo istinto animale, e prende corpo in lui la necessità di nascondersi, o di urlare; ma la prima è più forte e decisa, e si manifesta con il crudele aspetto della razionalità. Segue il pianto, ultima àncora di salvezza dell’istinto oramai in estinzione. Comincia a ricordarsi della vita che fu, e la svolge; come i cerchi nell’acqua quando si tira un sasso, secondo un fato stabilito, un ritmo incessante, limitato. Da ora in poi cercherà di capire guardando le stelle, ascoltando il canto degli uccelli, toccando il viso di una donna, respirando l’odore dei tulipani e della terra stessa, raccontando delle storie. E scoprirà che c’è sempre un angelo, nascosto da qualche parte, pronto a tendergli nuovamente la mano.

10 febbraio 2007

NON UCCIDERE


La legge non dovrebbe imitare la natura. Dovrebbe correggerla. La legge è stata creata dagli uomini per regolare i rapporti sociali. Ciò che noi siamo e come viviamo dipende dalle leggi; che noi osserviamo o infrangiamo. Fino a quando la sua libertà non lede quella di un altro uomo… La pena, la pena è una forma di vendetta, specialmente se mira ad arrecare il male, e non a prevenire il delitto. Ma in nome di chi si vendica la legge? Veramente lo fa in nome degli innocenti? E sono i veri innocenti che fanno la legge?


Fin dai tempi di Caino mai una punizione che sia riuscita a migliorare il mondo o scoraggiarlo dal compiere delitti.

tratto dal film Decalogo, cinque di Krzysztof Kieslowski

21 gennaio 2007

Le sue mani


Lente, rapidamente nascoste
nella borsa a rovistare cose;
movenze familiari, già viste.
Scivolosamente affusolate
dentro lente danze amorose
a raccontare storie incantate.

14 gennaio 2007

Alexander Throckmorton

Da giovane le mie ali erano forti e instancabili
ma non conoscevo le montagne.
Da vecchio conoscevo le montagne,
ma le mie ali stanche non potevano seguire la visione -
Il genio è saggezza e gioventù.


(tratto da Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters)

13 gennaio 2007

E' colpa dell'amministratore!

Lei, accasciata davanti alla porta di casa,
la gatta chiusa dentro, i sacchi della spesa
appoggiati sui gradini, accanto all'ascensore
che a vederla pareva avesse un malore
ansimava stanca, con la bocca che cadeva
esausta tendeva il dito, la schiena le doleva.
Voleva raggiungere il campanello - presto! -
prima che fosse tardi, compiere quel gesto
per avvertire qualcuno, magari farsi aiutare
a tornare indietro dove lei non voleva tornare.
- Driiin! - aveva suonato. Ce l'aveva fatta,
e per la paura di esser presa per matta
urlò a squarciagola il nome del vicino - Aldo! -
e fu presa da malore; improvvisamente caldo,
poi freddo, poi caldo ancora e svenimento:
come morta, cadde di piombo sul pavimento.
La porta del vicino si aprì: "Oh santo cielo!
Presto, è svenuta, forse è viva per un pelo!"
Tutti dai piani bassi accorsero allarmati
"Fatela respirare, su, non state accalcati!"
Le fecero poggiare la testa, le gambe in su
fino al decimo piano era salita una tribù
di anziani, casalinghe, bambini col pallone
persino i più pigri spegnevano la televisione
per cercare di capire cosa fosse successo
Il portiere: "Non si sa niente per adesso..."
Un po' di acqua e zucchero e presto rinvenne
contenta per non averci lasciato le penne:
"Avevo lasciato un sacchetto al pianterreno
ma me ne sono accorta all'ultimo gradino!"
"Non si preoccupi - faceva Aldo - ora sta bene
può anche tornare giù, se proprio ci tiene...
"E no, ora basta! - strillò il portiere iracondo -
pur'io faccio su e giù e sembro un moribondo.
Ma invece di chiamare ogni volta un dottore
non potreste solamente riparare l'ascensore?!"

12 gennaio 2007

Invito al Viaggio

T'invito al viaggio,
in quel paese che ti somiglia tanto,
i soli languidi dei tuoi cieli annebbiati
hanno per me l'incanto dei tuoi occhi
quando brillano, offuscati.
Laggiù tutto è ordine e bellezza,
calma e voluttà.
Il sole si addormenta
in una calda luce di giacinto e dorme.
Dormono pigramente i vascelli vagabondi
arrivati da ogni confine
per soddisfare i tuoi desideri,
i tuoi desideri.

















Poesia di Manlio Sgalambro, Invito al viaggio di René Magritte

10 gennaio 2007

Riflessione #1


Ogni secondo, giorno e notte, una donna mette al mondo un bambino.

Non credete che sarebbe ora di trovare quella donna e farla smettere?



Anonimo

31 dicembre 2006

Avrei voglia di idee diverse


Spazi, quadrati, quadranti,
sullo schermo qui davanti
troppe parole senza voce,
stella fioca, poca luce.


Cosa sto raccontando?
A chi perché e quando
ho pensato di narrare,
se non riesco a decifrare?


Io non parlo, non sento
sparo alle ombre, forse;
parlo troppo, me ne pento.


Non vedo le mie risorse,
galleggiare mi fa spavento.
Avrei voglia di idee diverse.



27 dicembre 2006

A volte vorrei



A volte vorrei
l'occhio del gatto nero
che non promette grazia
a un sinistro pensiero.
Uno sguardo
semplice ma severo.


(Tratto da Quadri senza figure, raccolta di poesie di Loredana Scaramella, Serarcangeli Editore)

25 dicembre 2006

Prima dell'antivigilia

Cancelli già chiusi: ore 21, la "favolosa" metro di Roma Caput Mundi, a Natale, ultimo venerdì di shopping è chiusa in anticipo per restauro. Era già successo in piena "Estate Romana", ad agosto.
Un fogliettino, attaccato alla cancellata di Piazza della Repubblica, stampato piccino, dice che il servizio è sostituito da autobus.
Cercare la fermata nei dintorni: nei dintorni decine di taxi vuoti in attesa. E non è un miraggio!
Ma ecco il MA2 con posti a sedere.
Dal finestrino scorre una Roma bellissima: sembra che un virus spaziale abbia spazzato via le catene di auto parcheggiate su file multiple o incolonnate ai semafori. Pochi pedoni, avvolti da foglie e cartacce fluttuanti nella prima vera tramontana di stagione. E mille luci natalizie che sottolineano forme altrimenti poco visibili di facciate liberty o rinascimentali, di svettanti palmizi o ippocastani.
A via Veneto luci dorate, oppure blu, o anche rosso fuoco: dalle vetrate di bar e ristoranti qualche raro avventore.
Dal tridente di una Piazza del Popolo così deserta, e sono le 21,30, da sembrare una stampa vivente dell'Ottocento, si intravede su via del Babbuino la più grande luminaria color verde acceso. Ma non è un albero di Natale. Si tratta di un' insegna permanente che indica da cielo a terra un messaggio per tutti gli uomini di buona volontà: PIZZERIA.
Già alle 19 via Nazionale era vuota. I Romani affannati, impacchettati, maledicenti, aggressivi, disperati, depressi, sgambettanti su marciapiedi ingombri di quattroruote, sculettanti su motorini puzzolenti, immobilizzati nelle code infinite (sia quelle degli uffici postali, sia quelle degli ingorghi), dove sono andati?
E i turisti? Ore 17,30 alle Scuderie del Quirinale: una mostra per quattro gatti. Più i custodi, tanti, sorridenti, in giacca rosso-natalizio.
E i pendolari dello shopping? Tutti indietro presto, nei comuni di provenienza. I negozi sono vuoti, le vetrine parlano invitanti a passanti che non esistono.
Piazzale Flaminio: davanti alla stazione del trenino, scomparse le bancarelle restano i detriti. Carte, cartoni, plastiche, materie prime poche, molti derivati di vario genere, meglio non approfondire.
La corsa delle 22, cancellata. Aspettare quella delle 22,30.
Tanto ora nessuno corre più, c'è tempo e non c'è nulla da fare.
Si aggira solitario un giovane: jeans sdruciti e un po' calati, come si usa ora, e zainetto in spalla. Tiene in mano un quadro, non avvolto, di media grandezza, poco pesante comunque. E parla, parla ininterrottamente, a voce alta, parla al vuoto che ha intorno, parla a se stesso e forse neppure. Frasi sconnesse: "E questa sarebbe arte! La chiamano arte!..." Agita il quadro al vento e al buio.
Poi entra nella stazioncina. Siede su una panca. Tira fuori un libro. Che non legge.
A un tratto si sente il rumore del quadro che cade a terra: interviene un addetto ferroviario. Volano parolacce da entrambi.
Il giovane alza la voce: "Ma lo sai questo quadro quanto vale? Me lo hai rotto. Dimmi il tuo nome, voglio sapere come ti chiami. Hai anche la divisa, a parte la tua divisa, dimmi il nome e cognome."
La risposta è in crescendo: "Non sono tenuto a dare il mio nome a nessuno. Ho diritto alla privacy, e poi smettila che mi stai a rompe er culo!"
No, non vengono alle mani. Il giovane comincia ad andare in su e giù, sul marciapiedi, tra i 2 binari, lamentandosi e invocando Gesù: "E' Natale, è nato il Bambino, ma che Natale è questo? Che è Natale, questo? Voi l'avete ucciso, siete stati voi."
Si risiede sulla panca, tranquillo. Tira fuori un libro dallo zaino.
Man mano arrivano delle persone, una decina in tutto. Aspettano anche loro il treno delle 22,30.
Il giovane si porta al centro dell'androne e si accoccola per terra. "Ecco ora comincio a leggere. La Bibbia, i due Testamenti, o forse è la Cabala? Mah, qui ci vorrebbe Zoroastro. Ecco chi ci vorrebbe. Lo conoscete? Fa' lo stesso, la Bibbia o la Cabala. E no, questo libro lo devo leggere a voce alta..."
Ma arriva il treno.
Sale e scende con il suo quadro, due o tre vetture. Poi sceglie il sedile di fronte.
Il treno parte, la luce illumina finalmente il suo viso.
Un bel giovane, dalla fronte alta e spaziosa, due occhi scuri intensi, vivaci. Magro di costituzione, ma ben nutrito e ben curato. Un viso simpatico, intelligente.
Un sospetto: che sia un burlone? Ci ha preso tutti in giro fino adesso? Un simpatico scherzo di Natale, in anticipo sul Carnevale?
Il quadro ha una cornice a rilievo di cartapesta, color rosso vivo. Si tratta di un collage: si intravede dipinto un ometto grasso, seminudo e panciuto, con un mantello, sospeso quasi in aria. In basso un ritaglio, sembra una maschera. Poi una lattina di coca cola schiacciata e incollata.
"Ora tiro fuori il mio libro, quello che sto scrivendo. Ora ve lo leggo." A chi si rivolge? Non guarda nessuno. Gira il quadro. Sul retro una firma, nome e cognome. Il nome è Omar.
Il "suo" libro è un quadernone scritto a penna. Non legge, ma riprende a parlare.
"Mi chiamo Omar, ho 26 anni. Ho il diritto alla mia età di andare a divertirmi. Ecco ora vado a divertirmi. Ne ho il diritto a 26 anni. Perché mi ha rotto il quadro? Ma lo sa quanto vale questo quadro? E non ha voluto dirmi il nome."
Non si tratta di una burla natalizia. Si tratta di un ventiseienne, intelligente, colto?
Ora legge il suo libro: "Perché gli Ebrei non riconoscono Gesù neppure come profeta, e gli Islamici sì? A voi vi si deve rode er culo, a voi che l'avete ammazzato. Portava la croce, ma la croce non pesava, era pesante perché Gesù si è sacrificato non solo per tutti gli uomini, ma anche per le piante e gli animali. Per questo pesava la croce..."
Scendo, sono arrivata.
Omar prosegue il suo viaggio. Il suo quadro non era pesante, cartapesta e compensato.
O invece era pesante?
Ventisei anni: antisemita? cattolico? pro-islam? di destra, di sinistra, anarchico, artista, lucida pazzìa?
Scambiando le lettere del nome Omar diventa Roma, la culla della Cristianità.
Ma di chi è questo Natale?
Roma 22 dicembre 2006



racconto di Erica Ghini

19 dicembre 2006

Merlino


Il ritorno a Demezia

Merlino era solo. Finalmente. Lanciò un grido, che si perse lungo il sentiero. Poi, spada in pugno, si lanciò in una corsa senza meta. Saettò tra i rami, s'affannò a risalire i poggi. Cadde, si rialzò, la spada sempre in pugno. Amado, il suo cavallo, lo seguiva a piccolo trotto, disorientato da quel suo andare zigzagante, affannato. Quando lui si fermò a riprendere fiato, lo raggiunse e gli nitrì sul collo un richiamo breve. Merlino non aveva orecchie, né occhi, né cuore. Allontanò il cavallo e s'arrampicò velocemente su una roccia. Restò lì, in piedi. Gli occhi chiusi, portò al petto la spada, con delicatezza, quasi avesse tra le braccia un cristallo. La strinse, mormorando il nome di Deer, suo nonno. E pianse. Finalmente, lasciò che l'emozione e il dolore per la morte di Deer trovassero sfogo.
Un nitrito ancora. Il suo cavallo lo aspettava ai piedi della roccia. Merlino scese agilmente e lo cavalcò a pelo. Diede di sprone e si inoltrò là dove era più fitta la foresta e frequenti i coni d'ombra. Voleva nascondersi, sparire, sciogliersi dentro il bosco, confondersi con la terra e i rami. E restare zitto per il tempo che avrebbe preteso il suo dolore a ricomporsi.
"Merlino"
Qualcuno chiamava il suo nome. Lontano. Non avrebbe voluto rispondere ad alcun richiamo ma quella era la voce, la sola voce, a cui sapeva di poter affidare il suo dolore.
Enid lo attendeva. Con il suo aiuto, Merlino avrebbe affrontato quel giorno e il suo popolo secondo la dignità e la responsabilità che gli toccavano. Da Re.
"Non ne avrò la forza" aveva mormorato lui.
Solo lo sguardo sereno di Enid sembrava averlo confortato. Almeno per un po'.


(da La magia di Stonehenge, romanzo di Luisa Mattia, edizioni e/o)

04 dicembre 2006

after the funeral



CLAIRE: Some people keep smoking you know because they just need the nicotine. I never did. It just wasn't that hard to give up. People say it's so hard. Or they smoke because it's like a social club at work, passing that lighter. Or they can't calm down. I just couldn't stop carrying around cigarettes. That's my habit. I needed them there in my bag. I have to know where my lighter is.
MICHAEL: But you quit when you met me.
CLAIRE: They always say you never quit.
MICHAEL: It doesn't matter.
CLAIRE: You just take breaks. You can take the longest breaks but then one day you just need to smoke.
MICHAEL: I love you, Claire. Can you hear me? I said, I love you.


Words from After the funeral by Christopher Sean Larsen

12 novembre 2006

28



Come posso ritrovare la mia pace
se il ristoro del sonno mi è negato?
Se l'affanno del giorno non riposa nella notte
ma giorno da notte è oppresso e notte da giorno?

Ed entrambi, anche se l'un l'altro ostili,
d'accordo si dan mano solo per torturarmi
l'uno con la fatica, l'altra con l'angoscia
di esser da te lontano, sempre più lontano.

Io dico al giorno, per compiacerlo, che sei luce
e gli dai grazia quando le nubi oscurano il cielo;
così lusingo la notte cupa,
che quando le stelle splendenti non fanno capolino,
sei tu a illuminare la sera.

Ma il giorno ogni giorno prolunga la mia pena,
e la notte ogni notte aumenta il mio dolore.

William Shakespeare, Sonetti

31 ottobre 2006

Exhibition n.1

Puoi nasconderti se vuoi puoi truccarti gli occhi puoi restare chiuso in casa attivare i contatti puoi ascoltare in silenzio per ore puoi urlare fino a star male e puoi chiederci perdono senza mai dimenticare che non puoi fingere non puoi più fingere perché non puoi più fingere non puoi più fingere perché non hai più tempo non hai più tempo



(A. Salvati, E42, da The Album Part 1)