08 novembre 2008

Dai «cinesi bolliti» alle corna. Le battute di Silvio l'Incompreso

La gag su Rasmussen, Veronica e Cacciari. I finlandesi indignati per la leader «sedotta»

Convinto che grazie a lui l'Italia sia «il Paese più simpatico del mondo», Silvio Berlusconi si è lanciato ieri in una delle battute che lo fanno ridere assai. E nella scia dell'astuta diplomazia internazionale di due ministri come Umberto Bossi e Roberto Calderoli che da anni chiamano i neri «bingo bongo», ha ieri salutato Barack Obama come uno «che è anche bello, giovane e abbronzato».

Come prenderà la cosa il prossimo presidente americano, al quale il nostro premier si era già offerto di «dare consigli» come usavano i barbieri col «ragazzo spazzola» non si sa. È da quando era piccolo che come tutti i neri sente spiritosaggini del genere: «cioccolato», «carboncino», «palla di neve»... Non ci avesse fatto il callo non sarebbe arrivato alla Casa Bianca. Certo, se il Cavaliere voleva «sdrammatizzare» il primo commento del «suo» capogruppo al Senato Maurizio Gasparri dopo l'elezione («Al Qaeda sarà contenta») non poteva scegliere parole più eccentriche. Fatti i conti col contesto internazionale, è probabile che Obama farà spallucce: boh, stupidaggini all'italiana. Da prendere così, come le barzellette da rappresentanti di aspirapolvere sui lager, i malati di Aids, i froci... L'importante è non prendere sul serio chi le racconta. Esattamente quello che hanno fatto, in questi anni, molti dei protagonisti della scena mondiale. Spesso spiazzati dalle sortite di un uomo che secondo Giuliano Ferrara è «un'opera pop».

Nessuno è mai stato stato così contento di se stesso e così spesso «incompreso» sulla scena mondiale. Basti ricordare quando disse al parlamento europeo che avrebbe proposto a un amico che girava un film sui lager nazisti di dare al socialista Martin Schulz la parte del kapò. Gelo in aula. Interrotto dopo lo stupore da urla d'indignazione. E lui: «Era solo una battuta per cui è scoppiato a ridere l'intero Parlamento. Un'osservazione di venti secondi poiché volevo allentare l'atmosfera... La vicenda è stata enormemente gonfiata dalla sinistra». In realtà, spiegò, «in Italia tengono banco da decenni storielle sull'Olocausto. Gli italiani sanno scherzare sulle tragedie per superarle...». E a quel punto si incazzarono ancora di più gli ebrei. Che difficile, farsi capire... Non lo capirono i ministri degli Esteri europei quando a una riunione a Caceres fece le corna a un collega durante la foto ufficiale: «Volevo far ridere un simpatico gruppo di giovani boy-scout». Non lo capirono i giornalisti russi il giorno che, già ustionati dal numero di cronisti assassinati a Mosca, restarono basiti per il modo in cui reagì alla domanda di una giovane reporter che aveva osato chiedere a Putin se avesse una relazione con una gentile signorina: fece finta di imbracciare un mitra e di dare una sventagliata. Non lo capì il danese Rasmussen quando spiegò che «è anche il primo ministro più bello d'Europa... Penso di presentarlo a mia moglie, perché è molto più bello di Cacciari... Secondo quello che si dice in giro... Povera donna».

E poi non lo capì il giornalista del Times: «Nel bel mezzo del discorso di Chirac in Canada, Berlusconi si è alzato e ha cominciato a distribuire orologi agli altri leader, con un delizioso sprezzo politico». Non lo capirono i palestinesi quando ammiccò: «Arafat mi ha chiesto di dargli una tivù per la striscia di Gaza, gli manderò "Striscia la notizia"». E non lo capì il cronista del giornale russo Kommersant durante la visita di Berlusconi e Putin allo stabilimento Merloni di Lipetsk: «Il premier italiano era particolarmente attivo ed era chiaro che aveva un obiettivo: non sarebbe stato contento se non fosse riuscito ad avvicinarsi ad un gruppo di operaie. Poi rivolto a Putin: "Voglio baciare la lavoratrice più brava e più bella". Aveva già individuato la sua vittima. Si è avvicinato a una donna grande come la Sardegna e con tutto il corpo ha fatto il gesto tipico dei teppisti negli androni bui dei cortili, quando importunano una ragazza che rincasa. Lei s'è scansata ma il signor Berlusconi in passato deve aver fatto esperienza con donne anche più rapide di questa: con due salti ha raggiunto la ragazza e ha iniziato spudoratamente a baciarla in faccia».

Che male c'è? È estroso. Macché: non lo capiscono. Come quella volta che spiegò: «Mi accusano di aver detto che i comunisti mangiano i bambini: leggetevi il libro nero del comunismo e scoprirete che nella Cina di Mao i comunisti non mangiavano i bambini, ma li bollivano per concimare i campi». Non l'avesse mai fatto! Immediato comunicato del ministero degli Esteri cinese: «Siamo contrariati da queste affermazioni infondate. Le parole e le azioni dei leader italiani dovrebbero favorire la stabilità e lo sviluppo di relazioni amichevoli tra la Cina e l'Italia». Uffa, era una battuta... Sul cibo, poi... «Rimpasto? No, grazie, non mi occupo di paste alimentari... Poi, dopo la visita in Arabia Saudita, mangio solo riso in bianco...». E si indispettirono i sauditi. Uffa, che permalosi... Il massimo lo diede sulla sede dell'agenzia alimentare europea che rischiava di finire a Helsinki: «Parma sì che è sinonimo di buona cucina, mentre i finlandesi non sanno nemmeno cos'è il prosciutto. Come si può pensare di collocare questa agenzia in un Paese che forse va molto fiero della renna marinata o del pesce baltico con polenta? Per portare l'Agenzia a Parma ho rispolverato le mie doti di playboy con la presidente finlandese Tarja Halonen». Ed ecco l'incidente diplomatico. Con tanto di protesta ufficiale e convocazione dell'ambasciatore italiano: come si permetteva? Immediata rappresaglia delle associazioni dei produttori finlandesi: «Non compreremo più vini e oli italiani». E lui: «Ho fatto solo una battuta di galanteria. C'è una mancanza di sense of humour...». In fondo si tratta di strategia internazionale. «Cazzeggio strategy», diciamo. Mica le capisce, certe reazioni. Lui, quando a un vertice è saltata fuori la storia che è bassotto mica se l'è presa. Si è tolto una scarpa, l'ha messa sul tavolo e l'ha mostrata a tutti: «Visto? Non ce li ho i tacchi alti. È che mi dipingono così».

Gian Antonio Stella

07 novembre 2008

Verità sacrosante

"Mio padre ha fatto la resistenza, io sono passato attraverso le dure lotte degli anni Cinquanta e Sessanta, dalla legge truffa a Tambroni, quando preti e carabinieri decidevano se potevi lavorare o se dovevi restare un disoccupato. Sono cresciuto in mezzo agli scandali, alle stragi, ai tentativi di golpe e i rumori del Sessantotto. Poi ho ingoiato il terrorismo, quello vero e quello dei servizi segreti. Mi hanno costretto ad avere simpatia per Moro, che fino a quelle pallotole non mi sembrava molto meglio dei suoi amici. Mi sono passati davanti ministri e banchieri ammanettati. Ho visto partire per il terzo mondo camion della Croce Rossa Italiana carichi di profilattici bucati e latte andato a male. Per un bel po' di tempo la televisione m'ha obbligato ad avere ospite in casa il venerabile Gelli, le buonanime del dottor Calvi e del dottor Sindona: tutti masnadieri. Ho respirato i polvericci delle bancarotte, e per mezzo secolo il fumo delle macchine di Agnelli. Oggi non m'affaccio più alla finestra. E' l'era dei drogati e in questa forse finirò la mia vita. [...] Attenzione a non sparare fesserie. Non dimenticatevi troppo presto che solo fino a pochi anni fa andavate a cacare nel cortile e vi lavavate coi secchi dell'acqua fredda. Non dimenticatevi che bastava un ascesso per andare all'altro mondo. Non dimenticatevi che mangiavate pane e cipolla e vi facevate il caffè con la cicoria. [...] Ma quale Paradiso! Prova a pensare invece cosa potrebbe essere questa Italia senza drogati, senza mafia, senza corruzione, con gli ospedali che funzionano, le scuole che funzionano, le ferrovie che funzionano. Pensa a un'Italia col Tevere pulito, col mare pulito, con tutti gli spazi verdi che la speculazione edilizia selvaggia ha cancellato e deturpato. Prova a pensare che cosa poteva essere di bello la Sicilia senza quegli orrori che sono stati costruiti lungo tutta la costa. E Roma, guardala, vai qua, appena fuori delle mura: c'è un accerchiamento di palazzoni immondi che non finisce mai, in mezzo alla sporcizia e sotto l'incubo mortale della droga."
Chi poteva dare torto a Osvaldo. Quelle erano verità sacrosante, tangibili, viventi sotto i loro occhi. L'unica cosa che restava da fare era finire il bicchiere e andarsene a letto come tutte le sere.

Tratto dal racconto Il socialista contenuto nella raccolta di racconti L'ipocrita, di Vincenzo Cerami, Oscar Mondadori, 1991

04 novembre 2008

Una tranquilla mattinata a Piazza Navona

Sta succedendo qualcosa di inquietante in questo periodo; aldilà delle polemiche inerenti agli argomenti specifici (in questo caso il cosiddetto "decreto Gelmini"), il comportamento delle istituzioni e del governo in particolare è davvero preoccupante, e puzza di una storia che questo Paese ha già scontato ma che forse troppo spesso ci si dimentica.
Qualche giorno fa...
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''Vorrei dare un avviso ai naviganti, molto semplice: non permetteremo che vengano occupate scuole ed universita'. Perche' l'occupazione di posti pubblici non e' una dimostrazione, un'applicazione di liberta', non e' un fatto di democrazia e' una violenza nei confronti degli altri studenti, nei confronti delle famiglie, nei confronti delle istituzioni, nei confronti dello Stato. Convochero' oggi il ministro degli Interni e daro' a lui istruzioni dettagliate su come intervenire attraverso le forze dell'ordine per evitare che questo possa accadere''

Silvio Berlusconi
Conferenza stampa del 22-10-2008


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'Maroni dovrebbe fare quel che feci io quand'ero ministro dell'Interno. In primo luogo, lasciare perdere gli studenti dei licei, perchè pensi a cosa succederebbe se un ragazzino rimanesse ucciso o gravemente ferito... Lasciarli fare (gli universitari, ndr). Ritirare le forze di Polizia dalle strade e dalle Università, infiltrare il movimento con agenti provocatori pronti a tutto, e lasciare che per una decina di giorni i manifestanti devastino i negozi, diano fuoco alle macchine e mettano a ferro e fuoco le città. Dopo di che, forti del consenso popolare, il suono delle sirene delle ambulanze dovrà sovrastare quello delle auto di Polizia e Carabinieri. Nel senso che le forze dell'ordine non dovrebbero avere pietà e mandarli tutti in ospedale. Non arrestarli, che tanto poi i magistrati li rimetterebbero subito in libertà, ma picchiarli e picchiare anche quei docenti che li fomentano. Soprattutto i docenti. Non dico quelli anziani, certo, ma le maestre ragazzine sì... questa è la ricetta democratica: spegnere la fiamma prima che divampi l'incendio'.

Francesco Cossiga
Intervista sul Quotidiano Nazionale del 23-10-2008


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Un camion carico di spranghe e in piazza Navona è stato il caos
La rabbia di una prof: quelli picchiavano e gli agenti zitti
Aveva l'aria di una mattina tranquilla nel centro di Roma. Nulla a che vedere con gli anni Settanta. Negozi aperti, comitive di turisti, il mercatino di Campo dè Fiori colmo di gente. Certo, c'era la manifestazione degli studenti a bloccare il traffico. 'Ma ormai siamo abituati, va avanti da due settimane' sospira un vigile. Alle 11 si sentono le urla, in pochi minuti un'onda di ragazzini in fuga da Piazza Navona invade le bancarelle di Campo dè Fiori. Sono piccoli, quattordici anni al massimo, spaventati, paonazzi. Davanti al Senato è partita la prima carica degli studenti di destra. Sono arrivati con un camion carico di spranghe e bastoni, misteriosamente ignorato dai cordoni di polizia. Si sono messi alla testa del corteo, menando cinghiate e bastonate intorno. Circondano un ragazzino di tredici o quattordici anni e lo riempiono di mazzate. La polizia, a due passi, non si muove. Sono una sessantina, hanno caschi e passamontagna, lunghi e grossi bastoni, spesso manici di picconi, ricoperti di adesivo nero e avvolti nei tricolori. Urlano 'Duce, duce'. 'La scuola è bonificata'. Dicono di essere studenti del Blocco Studentesco, un piccolo movimento di destra. Hanno fra i venti e i trent'anni, ma quello che ha l'aria di essere il capo è uno sulla quarantina, con un berretto da baseball. Sono ben organizzati, da gruppo paramilitare, attaccano a ondate. Un'altra carica colpisce un gruppo di liceali del Virgilio, del liceo artistico De Chirico e dell'università di Roma Tre. Un ragazzino di un istituto tecnico, Alessandro, viene colpito alla testa, cade e gli tirano calci. 'Basta, basta, andiamo dalla polizia!' dicono le professoresse.
Seguo il drappello che si dirige davanti al Senato e incontra il funzionario capo. 'Non potete stare fermi mentre picchiano i miei studenti!' protesta una signora coi capelli bianchi. Una studentessa alza la voce: 'E ditelo che li proteggete, che volete gli scontri!'. Il funzionario urla: 'Impara l'educazione, bambina!'. La professoressa incalza: 'Fate il vostro mestiere, fermate i violenti'. Risposta del funzionario: 'Ma quelli che fanno violenza sono quelli di sinistra'. C'è un'insurrezione del drappello: 'Di sinistra? Con le svastiche?'. La professoressa coi capelli bianchi esibisce un grande crocifisso che porta al collo: 'Io sono cattolica. Insegno da 32 anni e non ho mai visto un'azione di violenza da parte dei miei studenti. C'è gente con le spranghe che picchia ragazzi indifesi. Che c'entra se sono di destra o di sinistra? È un reato e voi dovete intervenire'. Il funzionario nel frattempo ha adocchiato una telecamera e il taccuino: 'Io non ho mai detto: quelli sono di sinistra'. Monica, studentessa di Roma Tre: 'Ma l'hanno appena sentito tutti! Chi crede d'essere, Berlusconi?'. 'Lo vede come rispondono?' mi dice Laura, di Economia. 'Vogliono fare passare l'equazione studenti uguali facinorosi di sinistra'. La professoressa si chiama Rosa Raciti, insegna al liceo artistico De Chirico, è angosciata: 'Mi sento responsabile. Non volevo venire, poi gli studenti mi hanno chiesto di accompagnarli. Massì, ho detto scherzando, che voi non sapete nemmeno dov'è il Senato. Mi sembravano una buona cosa, finalmente parlano di problemi seri. Molti non erano mai stati in una manifestazione, mi sembrava un battesimo civile. Altro che civile! Era stato un corteo allegro, pacifico, finché non sono arrivati quelli con i caschi e i bastoni. Sotto gli occhi della polizia. Una cosa da far vomitare. Dovete scriverlo. Anche se, dico la verità, se non l'avessi visto, ma soltanto letto sul giornale, non ci avrei mai creduto'. Alle undici e tre quarti partono altre urla davanti al Senato. Sta uscendo Francesco Cossiga. 'È contento, eh?' gli urla in faccia un anziano professore. Lunedì scorso, il presidente emerito aveva dato la linea, in un intervista al Quotidiano Nazionale: 'Maroni dovrebbe fare quel che feci io quand'ero ministro dell'Interno (...) Infiltrare il movimento con agenti pronti a tutto, e lasciare che per una decina di giorni i manifestanti devastino le città. Dopo di che, forti del consenso popolare, il suono delle sirene delle ambulanze dovrà sovrastare quello delle auto della polizia. Le forze dell'ordine dovrebbero massacrare i manifestanti senza pietà e mandarli tutti all'ospedale. Picchiare a sangue, tutti, anche i docenti che li fomentano. Magari non gli anziani, ma le maestre ragazzine sì'. È quasi mezzogiorno, una ventina di caschi neri rimane isolata dagli altri, negli scontri. Per riunirsi ai camerati compie un'azione singolare, esce dal lato di piazza Navona, attraversa bastoni alla mano il cordone di polizia, indisturbato, e rientra in piazza da via Agonale. Decido di seguirli ma vengo fermato da un poliziotto. 'Lei dove va?'. Realizzo di essere sprovvisto di spranga, quindi sospetto. Mentre controlla il tesserino da giornalista, osservo che sono appena passati in venti. La battuta del poliziotto è memorabile: 'Non li abbiamo notati'. Dal gruppo dei funzionari parte un segnale. Un poliziotto fa a un altro: 'Arrivano quei pezzi di merda di comunisti!'. L'altro risponde: 'Allora si va in piazza a proteggere i nostri?'. 'Sì, ma non subito'. Passa il vice questore: 'Poche chiacchiere, giù le visiere!'. Calano le visiere e aspettano. Cinque minuti. Cinque minuti in cui in piazza accade il finimondo. Un gruppo di quattrocento di sinistra, misto di studenti della Sapienza e gente dei centri sociali, irrompe in piazza Navona e si dirige contro il manipolo di Blocco Studentesco, concentrato in fondo alla piazza. Nel percorso prendono le sedie e i tavolini dei bar, che abbassano le saracinesche, e li scagliano contro quelli di destra. Soltanto a questo punto, dopo cinque minuti di botte, e cinque minuti di scontri non sono pochi, s'affaccia la polizia. Fa cordone intorno ai sessanta di Blocco Studentesco, respinge l'assalto degli studenti di sinistra. Alla fine ferma una quindicina di neofascisti, che stavano riprendendo a sprangare i ragazzi a tiro. Un gruppo di studenti s'avvicina ai poliziotti per chiedere ragione dello strano comportamento. Hanno le braccia alzate, non hanno né caschi né bottiglie. Il primo studente, Stefano, uno dell'Onda di scienze politiche, viene colpito con una manganellata alla nuca (finirà in ospedale) e la pacifica protesta si ritrae. A mezzogiorno e mezzo sul campo di battaglia sono rimasti due ragazzini con la testa fra le mani, sporche di sangue, sedie sfasciate, un tavolino zoppo e un grande Pinocchio di legno senza più una gamba, preso dalla vetrina di un negozio di giocattoli e usato come arma. Duccio, uno studente di Fisica che ho conosciuto all'occupazione, s'aggira teso alla ricerca del fratello più piccolo. 'Mi sa che è finita, oggi è finita. E se non oggi, domani. Hai voglia a organizzare proteste pacifiche, a farti venire idee, le lezioni in piazza, le fiaccolate, i sit in da figli dei fiori. Hai voglia a rifiutare le strumentalizzazioni politiche, a voler ragionare sulle cose concrete. Da stasera ai telegiornali si parlerà soltanto degli incidenti, giorno dopo giorno passerà l'idea che comunque gli studenti vogliono il casino. È il metodo Cossiga. Ci stanno fottendo'.

Curzio Maltese
www.repubblica.it del 30-10-2008